Concilio dei topini

Suicidio

Topino 106

Una volta che ero parecchio depresso, la prima volta nella vita per cui non uso il termine “depresso” in senso generico, ma in senso “se fossi andato da uno psichiatra mi avrebbe dato la droga”, mi posi il problema di quale fosse il modo più corretto di suicidarmi. Non perché volessi morire! Anzi, non volevo proprio. Solo che se la situazione fosse peggiorata, il me futuro avrebbe potuto voler suicidarsi, e pensai che era meglio premunirsi, decidendo prima come farlo.

Mi aspetto che al primo udito questo suoni contradditorio. Aver già pronto un’abbozzo di piano su come morire, facilita l’eseguirlo nel momento di bisogno, quindi perché se non voglio morire dovrei preparare un piano, dando un vantaggio al paventato me futuro che non vorrà più vivere?

In effetti forse non ha senso. Non è un argomento su cui mi sento sicuro. Comunque, la mia mente abbattuta dalla tristezza ragionò nel seguente modo. Ci sono due motivazioni: una etica, e l’altra strategica.

Mettiamo che io adesso non voglio suicidarmi. La prima cosa semplice che mi viene in mente è di memorizzare il fatto che non voglio farlo, sperando che il me futuro si ricordi di questa richiesta e la onori. Ho un reale esempio di qualcosa di simile: quando ero alle medie, una volta notai che mia sorella, dopo aver cambiato gusti artistici, era arrivata al punto di rinnegare e nascondere certi libri che fino a poco prima mostrava di tenere in buona considerazione. Mi sembrò sciocco, e feci un patto con me stesso: che il me delle medie si sarebbe impegnato a non fare cose che avrebbe potuto considerare idiozie riflettendoci, e il me futuro si sarebbe impegnato a rispettare i pessimi gusti del me delle medie. Tuttoggi rispetto quel patto, anche se sono spesso tentato di non farlo.

Problema strategico: questo patto funziona perché io sono grato al me stesso delle medie di esser stato una persona ragionevole. Se il me stesso futuro non vorrà vivere, allora probabilmente non sarà grato al me stesso presente di averlo fatto esistere, e quindi perché dovrebbe rispettare un patto? Per costruzione della situazione ipotetica, non ho praticamente nulla da offrirgli.

Problema etico: sono a favore dell’eutanasia per motivi arbitrari; secondo me una persona dovrebbe poter decidere di morire se lo vuole, senza dover rendere conto del perché. Lo sostengo da quando ho memoria di averci pensato, quindi sembra un principio stabile, mi aspetto di averlo nel futuro, e rende non solo maggiormente difficile dissuadere il me futuro suicidevole, ma anche immorale il fatto stesso di provarci.

Perché lo sto facendo, in effetti? Che diritto ho di provare a evitare che il me futuro si suicidi?

Risolvo per primo quest’ultimo dilemma. I suicidi futuri che voglio prevenire sono quelli in condizioni tali per cui, se venissero bloccati forzatamente, il me futuro successivo avrebbe piacere a vivere. Il me futuro successivo ha diritto a non farsi impedire l’esistenza dal me futuro, quindi lo scenario che sto cercando di evitare è uno in cui il me suicidevole sta violando il diritto a decidere di vivere di qualcun altro, e quindi mi sembra giusto fare una molto più piccola violazione dei suoi diritti per provare a impedirglielo. In termini non deontologici, devo fare un compromesso tra i vari me futuri, non potendo farli tutti contenti in una situazione ipotetica in cui vogliono cose incompatibili.

Ora analizzo il problema strategico, cioè che non ho bastone, carota, né ragione per cercare di convincerlo a non suicidarsi.

Ragione: Il me futuro non si lascerà mai convincere da messaggi che implicano non provare a suicidarsi, perché vuole farlo, e conosce tutte le stesse ragioni che conosco io, quindi se ha deciso di suicidarsi tautologicamente non posso trovare una ragione che lui non ha pensato per convincerlo. Oltretutto, può darsi che il me futuro sia incapacitato a ragionare lucidamente quanto me.

Carota: Il me futuro vuole morire, e non c’è niente di concreto di cui un morto può godere. L’unica cosa che gli posso offrire è facilitargli la morte, che non voglio davvero.

Bastone: Andrebbe contro la mia morale, e mi aspetto sia molto difficile impedirmi selettivamente in modo efficace un’azione particolare senza altrimenti limitare la mia libertà futura.

Questi vincoli mi obbligano a fare qualcosa che il me futuro consideri un aiuto al suicidio, abbastanza da sentirsi di dover ricambiare seguendo una richiesta che gli faccio che secondo me minimizza la probabilità che muoia, compatibilmente con tutte le richieste.

Può suonare irrimediabilmente contradditorio qualcosa che aiuta il suicidio, ma allo stesso tempo ne riduce la probabilità: però la prima proprietà viene valutata dal me futuro, la seconda dal me presente. Siccome per ipotesi abbiamo conoscenze, contesti e/o valori differenti, le due cose possono coesistere. È come vendere un oggetto a qualcuno: se mi prendo la briga di venderlo, vuol dire che il denaro che ne ricavo vale, per me, più di quell’oggetto; e viceversa, la stessa quantità di denaro vale olisticamente meno dell’oggetto per chi l’acquista, altrimenti non l’acquisterebbe.

L’unico modo che mi viene in mente è preparare un piano su come suicidarsi, con queste proprietà:

  1. Se davvero il me futuro ci tiene a suicidarsi, ci riesce (eutanasia, ok).
  2. Se il me futuro non è davvero convinto, alla fine non lo fa, deve esserci una scappatoia abbastanza affidabile (ridurre probabilità di suicidio, ok).
  3. Il me futuro pensa che sia un buon metodo, quindi non lo scarta anche se io ho previsto che minimizza le sue probabilità di morire compatibilmente con l’approvazione dell’eutanasia, e lui sa che io lo penso (convincimento, ok).
  4. Il metodo ha un appeal istintivo che glielo fa preferire anche se non sta ragionando lucidamente (funziona se sragiono, ok).
  5. Non deve affidarsi ad aiutanti esterni, perché è difficile impedire il suicidio senza tener prigioniero qualcuno, e inoltre causerebbe sofferenza agli aiutanti stessi.

Realizzazione concreta di questi vincoli: camminare in montagna fino allo sfinimento. Mi aspetto che la morte per sete sia atroce e un po’ lunga, quindi avrei molto tempo per ripensarci. È possibile scegliere un percorso e un momento per farlo tale per cui non dovrei incontrare nessuno, ma potrei sempre scendere a valle o avvicinarmi alla civiltà in tempo ragionevole per salvarmi o farmi trovare anche se sono quasi allo stremo. È facile cominciare, ed è progressivo: non richiede di infliggermi un dolore improvviso lottando contro i miei riflessi. Inoltre camminare in montagna mi viene naturale e mi piace, quindi non avrei proprio ostacoli emotivi ad applicarlo. Infine, lo posso fare totalmente da solo e senza destare sospetti.

La richiesta che faccio al me futuro che vuole suicidarsi è di applicare questo piano, anziché trovare un altro modo per morire. Credo che la parte più impegnativa sia la scelta strategica del percorso e del momento in cui partire; sbagliarla può cambiare troppo la probabilità sia di non riuscire ad abortire il tentativo che di portarlo a termine con successo; il me futuro sarebbe incentivato a ottimizzare solo il secondo dei due criteri. Credo che per rendere il piano efficace dovrei prepararmi prima dei precisi percorsi da seguire; l’avere un’opzione così bell’e pronta la rende più allettante, direi abbastanza da compensare il fatto che è ottimizzata per poter essere abortita.

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