Durante le vacanze di Natale ho visto al cinema l’ultimo cartone di Miyazaki, “Il ragazzo e l’Airone”. Il primo articolo di questo sito, 4 e passa anni fa, era proprio su Miyazaki; facevo tutta una analisi tematica delle sue opere, e usavo un collegamento con la musica per ipotizzare la struttura tematica del film successivo.
La previsione era che la trama avrebbe racchiuso un’allegoria della maturazione narrativa tematica dell’autore stesso, secondo la mia interpretazione di essa, che era: Miyazaki è partito con temi eroici standard, li ha progressivamente abbandonati, sovvertiti, e infine sublimati, riuscendo in qualche modo a liberarsi dell’eroismo, pur narrando di grandi eventi con al centro protagonisti che svolgono un ruolo chiave e avventuroso. E poi, dopo ciò, è passato a fare il cavolo che gli pare e basta.
La struttura di questo processo è: partire da qualcosa di effetto, che tocca le corde emotive più di base, e poi evolversi, cercando di ottenere un impatto altrettanto efficace, ma in modo più subdolo e sofisticato. Oppure: partire da uno schema noto, riconoscibile, sfruttarlo al massimo, e poi riuscire a evolverlo in qualcosa di nuovo senza perderne l’efficacia. Dopodiché, abbandono e caos, quando l’evoluzione arriva troppo lontano dal punto di partenza.
L’idea ganza era che alla fine una struttura del genere sarebbe stata rappresentata nell’ultima opera, rendendo il tutto ricorsivo. Mi era venuta pensando alla nona sinfonia di Beethoven, che può essere schematizzata così (sì, vi sto spoilerando la nona, ma tanto mi sa che i miei lettori sono musicalmente spoiler-blind):
- Il primo movimento è studiato per sembrare che va sempre da qualche parte, ma poi non arriva. Come se la musica fosse sempre incompleta in ogni punto. Esprime l’idea di cercare qualcosa. Ha toni drammatici. Questo ricorda un po’ l’andamento classico alla Haydn dei finali delle sinfonie, che devono sembrare che stanno sempre per finire, anche se poi in realtà durano 10 minuti, però fatto per l’inizio: all’opposto di dar l’idea di essere lì lì per finire, sembra che cominci qualcosa per poi andarsene un’altra parte lasciandola lì.
- Il secondo e il terzo movimento non hanno trucchi del genere, sono espressioni ben spinte di musica classica: sono basati su motivetti carini, che vengono sviluppati e orchestrati molto bene per tirarli a lungo senza perdere l’effetto. Ma comunque motivetti carini e orecchiabili; e niente tensioni strane in giro, la musica suona come una voce chiara, che dice una cosa sola.
- Il finale è diviso in tre sotto-movimenti. Il primo è fatto per suonare come se fosse una narrazione che parla dei movimenti precedenti e li commenta, cercando di ragionare su come andare avanti; e infine trova l’idea, e parte il secondo sub-movimento che espone il tema. Il terzo è fatto con il coro, e ha a sua volta una struttura interna ben riconoscibile: parte con il tema, lo sviluppa, e poi fa il finale con lo stile da sinfonia ovvero che la tira lunga a finire.
Quindi l’idea del cercare qualcosa, l’espressione massima delle forme classiche, e poi un’esplicita narrazione del progresso a qualcosa di nuovo. Questo schema rappresenta l’avanzamento artistico di Beethoven in generale.
(Dopo la nona, Beethoven ha fatto dei quartetti d’archi un po’ originali. Per quel che so, direi che sono il primo esempio di musica “moderna”, nel senso che intende la gente che va a guardare l’arte moderna e dice “ma che cazzo è sta roba??”, seppur gli esteti la paghino fior di quattrini.)
Ho avuto ragione? Non provo a spiegarlo perché potrebbe essere uno spoiler, a seconda se ci ho azzeccato o no. Se guardate il film, poi ditemi cosa ne pensate. Se provassi a giudicarlo da solo, credo che sarei in grado di vedere le nuvole nelle nuvole a piacimento.
Rileggendo il mio vecchio post, ho pensato che 1) il mio stile di scrittura del 2019 mi fa cagare, 2) con queste seghe da letterati puoi sempre riconoscere gli schemi che vuoi trovare un po’ ovunque. Una volta che uno si concede analogie così vaghe, si possono trovare un sacco di collegamenti, ma non sono davvero predittivi: anche se adesso guardo il film e penso “Duh, guarda, ci ho riconosciuto proprio lo schema che mi aspettavo, come sono bravo”, in realtà il riconoscere lo schema si basa più sulla mia abilità generale di trovare il modo di incastrare le cose che vedo in schemi che ho in mente, piuttosto che sull’aver fatto una buona predizione.
Riconoscere uno schema in qualcosa è alla base del pensare che qualcosa ha senso, piuttosto che pensare che sia a caso. A tal proposito, mentre guardavo il film, la narrazione mi filava tutta come sensata e ragionevole; eppure, usciti dal cinema, la mia accompagnatrice disse che non aveva un cavolo di senso e succedevano cose a caso messe una di fila all’altra. Questo mi ha fatto ricordare che il me stesso del pressapoco 2016-2019 pensava anche lui che gli ultimi film di Miyazaki fossero dei viaggi onirici un po’ sconclusionati. Adesso mi sembrano sensati.
Ipotizzo che:
- Sono diventato più bravo a ragionare su quello che vedo e a cercare di capirne il senso o a notarne le proprietà e i collegamenti.
- E il punto (1) mi ha un po’ rovinato la visione di tutti quei film che cercano di mantenere una patina di realismo, una sospensione dell’incredulità, ma che in realtà non hanno una cippa di coerenza, cioè più o meno tutti i film tranne quella volta che qualcuno ha provato a fare un film verista definitivo e ci si è perso dentro.
- E quindi tutti i film normali sono scesi al livello di “roba un po’ a caso”, mentre quelli segaioli riesco ad analizzarli, quindi le differenze si sono attutite.
In pratica quando ero piccolo bastavano gli effetti speciali fatti bene a darmi una sensazione efficace di realtà. Adesso il fatto di accorgermi che ci sono cose illogiche rompe l’effetto, faccio più fatica a scollegare i ragionamenti dalle impressioni istintive. È normale invecchiando?
Wikipedia dice:
After the preview screening held in late February 2023, where strict confidentiality measures were in place, a message from Miyazaki was read out following the end credits, saying “Perhaps you didn’t understand it. I myself don’t understand it.”
Mm, se neanche il regista ci ha capito niente, forse è un problema mio.