Concilio dei topini

Inadequate Equilibria

Topino 106

Ho letto il libro di Yudkowsky, Inadequate Equilibria. Se volete farvi un’idea dei contenuti il modo più veloce è leggere la recesione di Scott Alexander. È un libro abbastanza corto e discorsivo, ci vogliono poche ore a leggerlo. Il passaggio che mi è rimasto più impresso è questo:

CECIE: I’ll now introduce the concept of a signaling equilibrium.

To paraphrase a commenter on Slate Star Codex: suppose that there’s a magical tower that only people with IQs of at least 100 and some amount of conscientiousness can enter, and this magical tower slices four years off your lifespan. The natural next thing that happens is that employers start to prefer prospective employees who have proved they can enter the tower, and employers offer these employees higher salaries, or even make entering the tower a condition of being employed at all.

VISITOR: Hold on. There must be less expensive ways of testing intelligence and conscientiousness than sacrificing four years of your lifespan to a magical tower.

CECIE: Let’s not go into that right now. For now, just take as an exogenous fact that employers can’t get all of the information they want by other channels.

VISITOR: But—

CECIE: Anyway: the natural next thing that happens is that employers start to demand that prospective employees show a certificate saying that they’ve been inside the tower. This makes everyone want to go to the tower, which enables somebody to set up a fence around the tower and charge hundreds of thousands of dollars to let people in.

VISITOR: But—

CECIE: Now, fortunately, after Tower One is established and has been running for a while, somebody tries to set up a competing magical tower, Tower Two, that also drains four years of life but charges less money to enter.

VISITOR: … You’re solving the wrong problem.

Se non l’avete capito, la “torre che toglie quattro anni di vita” sarebbe l’università. Negli Stati Uniti il Bachelor, più o meno l’equivalente della nostra triennale, dura quattro anni (loro finiscono le superiori un anno prima). Yudkowsky è un autodidatta, si è rifiutato di fare le superiori e non ha frequentato l’università, pur riuscendo in qualche modo a diventare un intellettuale relativamente conosciuto. Secondo lui per la maggior parte delle persone l’università è solo una perdita di tempo burocratica che serve per far vedere che ti sei sudato il tuo pezzo di carta e che adesso puoi essere considerato degno. Negli Stati Uniti la questione è particolarmente rilevante perché il college si paga caro ed è normale che gli studenti si indebitino.

A me l’università è servita a qualcosa? Direi di sì. Però devo tener conto di qualche circostanza eccezionale:

  1. Ho frequentato un’università di punta, tutto spesato, e qui in Italia costa meno.
  2. Sono più intelligente della media, cervellotico, e mi piace spiegare le cose, quindi forse sarei una di quelle poche persone per cui l’università ha senso di per sé. (Quanto più intelligente? Boh, provo ad azzardare una stima… Nel top 5%?)
  3. Anche se in generale sono quasi sempre stato considerato “un bravo studente”, di fatto dalla terza superiore in poi sono diventato anche “uno contro il sistema” e quindi studio ma studio quello che mi pare perché se mi dicono di studiare una cosa allora non mi va, tiè.

Quindi forse non posso usare la mia esperienza per cercare di farmi un’idea se quello che dice Yudkowsky è sensato perché sono troppo atipico. O meglio: sono uno dei casi fatti apposta per sviare alla critica di Yudkowsky. In qualche modo sono sia uno che sta alle regole, sia uno che le viola senza pensarci due volte, e quindi sono riuscito a seguire un percorso universitario relativamente di successo (davvero? diciamo almeno decente) senza però essere un drone che studia quello che gli mettono davanti senza pensare con la propria testa. Yudkowsky direbbe: grazie al cazzo che a te è andata bene, eri già tra i più bravi e portati in partenza e sei anche immune al conformismo.

(Questo modo di fare mi ha fatto perdere due anni in più per fare la magistrale, però in questi due anni aggiuntivi mi sono successe tante cose interessanti quindi alla fine va bene così.)

(A proposito di rispettare e violare le regole allo stesso tempo: credo di essermi spiegato questa contraddizione. A volte le persone si stupiscono di quanto io segua assiduamente una regola, altre volte invece si stupiscono di quanto io violi una regola ben rispettata senza darmi pena. Direi che la spiegazione è che io ho la testa tra le nuvole, in particolare dal punto di vista sociale, quindi faccio molto meno caso del normale al fatto che gli altri stiano rispettando una regola o no, e decido in qualche modo nella mia testa se tenerla in considerazione. L’effetto dall’esterno è che a volte sembro oscillare violentemente tra la pedanteria e l’anarchia, però non credo che questa variazione corrisponda a un cambiamento del mio stato interno, quanto piuttosto a una perdita di sincronia con gli altri esseri umani.)

Quindi la domanda è: delle persone che prendono una laurea, quante stanno perdendo tempo? Un grosso problema nel cercare una risposta è un problema condiviso da tutti i livelli del sistema educativo: che i risultati sono una profezia che si autoavvera. Quasi tutta la differenza (su qualsiasi metrica rilevante) tra chi ha frequentato quale scuola a che livello piuttosto che un’altra o non averla frequentata affatto, è dovuta alla selezione, spontanea o forzata, degli studenti, e il progresso delle persone è dovuto sia al contesto sia alla naturale crescita. Per dire: se noto che coloro che hanno preso laurea alla Bocconi sono più bravi di quelli che escono dall’università di Saltinculo, è perché i professori della Bocconi sono dei luminari della didattica o perché hanno dei criteri di ingresso più restrittivi che selezionano i migliori in partenza? Se non fossero andati alla Bocconi sarebbero bravi uguale nel loro lavoro?

Nel libro Yudkowsky ragiona a lungo su problemi di questo tipo, in particolare sul dilemma se usare l’outside view (“ero già più bravo prima, l’università non ha cambiato il mio status, quindi probabilmente non mi è servita”, oppure: “ho fatto l’università e adesso sono bravo, quindi è stata utile”) piuttosto che l’inside view (“le cose specifiche che ho fatto all’università mi sembrano utili e interessanti, quindi è stata utile”). Alla fine non trova una risposta se non quella quasi ovvia di “sforzarsi di ragionare razionalmente con la propria testa su tutte le informazioni a propria disposizione” (gac). Applicando questo principio, mi sembra che la mia vita sia stata molto influenzata di fatto da quello che mi hanno propinato alle superiori e all’università, in modo positivo, quindi per quanto riguarda me probabilmente è stata una scelta sensata. Potrei avere un bias nel dare questa risposta perché dopo aver faticato per anni mi sentirei scemo a dire “bah è stato inutile”, però non credo perché non mi viene istintivo vedere la scuola in una luce positiva.

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