Concilio dei topini

Distruzione dell’ambiente in Salgari

Topino 106
Dalla prima puntata del Monty Python’s Flying Circus.

Nella Città Senza Nome in Piazza Anonima la sesta domenica del mese ci sono le bancarelle di libri usati. Mentre rovistavo tra i fumetti, mi è saltato all’occhio un romanzo di Salgari di nessuna fama, Una sfida al Polo. Così, d’impulso, l’ho comprato.

Il primo passaggio che mi ha colpito è stato questo:

E poi pareva che la grande boscaglia fosse stata già vigorosamente attaccata dalla mano dell’uomo, poichè di quando in quando i viaggiatori incontravano delle vaste radure, dove giacevano ancora moltissimi tronchi già abbattuti e che davano non poca noia a Dik.

— Anche questa immensa riserva di legname, fra un paio d’anni, se non prima, subirà la medesima sorte toccata a quelle che un giorno coprivano le rive dell’Ottawa e del S. Lorenzo, — disse il canadese a Walter, il quale si occupava più delle urla dei lupi che degli alberi.

— Si brucia dunque spaventosamente nel Canadà? — chiese lo studente. — Eppure ci sono delle miniere di carbone anche qui.

— Ma con quello non si fabbrica la carta.

— La carta!… — esclamò Walter, guardandolo con stupore.

— Ma sì: è la peggiore nemica delle foreste e finirà, in un tempo più o meno lungo, per distruggerle completamente.

— Oh diavolo!… Io non lo avrei mai supposto.

— Potrei invece dire che è il giornalismo, specialmente quello americano, che finirà per farle scomparire.

— Non si adoperano più i cenci per fabbricare la carta, ora?

— Certo, anche quelli, ma a che cosa basterebbero? Tutti gli stracci raccolti nel mondo non potrebbero bastare nemmeno alla decima parte del consumo attuale della carta.

Sono i nostri vicini degli Stati dell’Unione che hanno decretata la distruzione dell’abete bianco, dell’abete rosso e del pioppo, i quali sono i più indicati per ottenere una buona carta adatta alla stampa a buon prezzo.

In questi ultimi venticinque anni le dimensioni dei giornali americani si sono raddoppiate ed il solo aumento nel numero di pagine rappresenta la distruzione annua di una foresta lunga venti chilometri e larga dieci.

— Fulmini di Giove!… — esclamò Walter.

— Questo immenso sviluppo del giornalismo americano va attribuito al basso prezzo della carta, all’introduzione delle macchine ed allo sviluppo enorme della réclame per mezzo dei giornali.

Oggidì funzionano, nelle sole tipografie dei giornali dell’Unione, oltre seimila macchine per comporre ed ognuna di esse fa in media il lavoro di tre operai.

I più importanti periodici domenicali della sola città di New-York hanno quasi tutti sessanta pagine ciascuno e ogni copia rappresenta la quantità di carta necessaria per un libro in ottavo di 480 pagine, e tuttociò per soli venticinque centesimi.

Se fate il calcolo vedrete che ogni domenica negli Stati dell’Unione escono 456 edizioni su tanta carta quanta ne basterebbe per sei milioni di volumi in ottavo di 500 pagine ciascuno.

— Quei giornali divorano una foresta alla settimana dunque!…

— Poco meno, Walter, — rispose il canadese. — E questo enorme consumo comincia ad impensierire non poco i yankees, i quali vedono scomparire le loro antichissime e meravigliose foreste con una rapidità spaventevole.

Ok, non sono stato onesto, in realtà il primo è stato

Quattro negri avevano cominciato a portare, su dei grandi ed artistici vassoi d’argento, delle vivande diverse che esalavano dei profumi da far venire l’acquolina in bocca anche ad un morto, mentre un quinto disponeva sulla tavola, dinanzi a ciascun commensale, delle bottiglie polverose che portavano delle marche celebri.

I quattro uomini, tornati improvvisamente gai, diedero subito un formidabile assalto alle diverse portate, scherzando amabilmente e deridendo i negri.

Però questo razzismo così innocente e spontaneo, con mio dispiacere, non ha seguito nel romanzo. Invece il tema ambientale prosegue. Visto che parlano dell’abbattimento eccessivo degli alberi usando parole come attacco, distruzione completa, antichissime e meravigliose foreste, leggendolo vi ho immaginato un germe di coscienza ecologica.

Cinque o sei dozzine di lupi, tutti di alta statura, quali grigi e quali nerastri, alti di gambe e coi musi affilati, si erano scagliati dietro al treno, ululando a squarciagola.

Erano dei magnifici corridori, specialmente i primi che sono appunto chiamati, per la loro straordinaria agilità, lupi cervieri.

— Walter, — disse il canadese, il quale si era pure armato d’un mauser. Volete divertirvi? Aprite pure il fuoco.

[…]

Qualche minuto dopo un colpo di fuoco si mescolava agli ululati delle fameliche belve.

Un grosso lupo cerviero, che guidava la corsa, aveva spiccato un gran salto, stramazzando subito in mezzo alla neve.

[…]

Si erano divisi in due colonne e galoppavano furiosamente, sempre ululando per chiamare i compagni dispersi per la foresta.

Quegli inviti di caccia non rimanevano inascoltati. Di quando in quando delle coppie d’altri lupi sbucavano fra i cespugli di rose canine che avvolgevano la base dei grandi pini e si univano al drappello ingrossandolo continuamente.

[…]

— Fulmini di Giove!… Guardate come diventano audaci. — Un lupo enorme, un lupo nero dal pelo irsuto e fumante per la lunga corsa, si era slanciato sul predellino di sinistra tentando di azzannare le gambe dello studente.

Dik però l’aveva scorto a tempo, e senza abbandonare il volante, aveva afferrata rapidamente una Colt che si trovava sospesa allo scudo, fulminandolo con un paio di palle.

[…]

— Dik, — disse il canadese, invece di rispondergli. — Arrestate la macchina.

— E poi? — chiese l’ex-baleniere, mentre lo studente spalancava gli occhi.

— Saliamo sulla capote di cuoio e fuciliamo queste noiose canaglie. Lassù non ci prenderanno.

[…]

I tre uomini, vedendo i lupi scagliarsi, in un momento si misero in salvo lassù, scaricando le rivoltelle.

Sette od otto animali, che si erano già gettati dentro lo chassis sperando di trovare, se non gli uomini, almeno dei viveri, stramazzarono a destra ed a sinistra della macchina, ululando spaventosamente.

I loro compagni, niente spaventati dai colpi di fuoco che si succedevano con rapidità meravigliosa, poichè ora erano i mauser che parlavano, in un baleno furono loro addosso divorandoli semi-vivi.

— Ah!… Diavolo!… — esclamò Walter, sospendendo per un istante il fuoco. — Io non ho mai veduto animali così ripugnanti!…

— Rimettete a domani le vostre riflessioni e consumate invece delle cartuccie, disse il canadese. — Non vedete che l’orda, invece di diminuire, continua ad ingrossare, malgrado i grandi vuoti che abbiamo fatto?

— Che sia la foresta preferita dai lupi questa, signor Gastone?

— Parrebbe.

— Mi dispiace consumare tante munizioni. Dobbiamo serbarne anche per gli orsi bianchi.

— Non temete: ne abbiamo una grossa provvista.

— Ed allora avanti. Pum!… Patatum!… Come cadono bene!… Ottime armi questi mauser!… I boeri avevano ragione a provarli contro i miei compatriotti in cambio dei loro vecchissimi röers.

— Chiacchierate troppo, Walter, — disse il canadese. — Guardate invece Dik: non pronuncia una parola, ma ammazza invece continuamente.

[…]

— Non vi consiglio di tentarlo, Walter. Queste bestie sono ancora troppo affamate. Suvvia, riprendete il fucile e cerchiamo di decimare quelle bestiaccie. — 

L’ex-baleniere, durante quel dialogo, non aveva cessato di far fuoco. Disteso sulla capote mirava con calma, da uomo che ci tiene a non sprecare le sue cartuccie, e ogni volta che un lupo commetteva l’imprudenza di mostrarsi lo fulminava con una precisione meravigliosa.

Se parlava poco agiva molto, destando un vero entusiasmo nel canadese.

Per una mezz’ora i tre viaggiatori continuarono a sparare, sbagliando ben pochi colpi, poi sostarono.

[…]

Un’idea, signor Gastone!… — esclamò improvvisamente lo studente, picchiandosi la fronte.

— Dite pure.

— Voi avete portato con voi delle cartuccie di dinamite per far saltare, se fosse necessario, i blocchi di ghiaccio che ci impedissero di avanzare.

— Certo: ne ho un bel numero.

— Se le provassimo contro i lupi?

[…]

Trenta o quaranta lupi si erano radunati ad una cinquantina di passi dall’automobile, come se si preparassero a tentare un nuovo assalto.

Era il buon momento per somministrare a quegli affamati una tremenda lezione.

— Walter, — disse il canadese. — Gettatevi a terra. — 

Poi lanciò a tutta forza la cartuccia attraverso la finestra, facendola cadere in mezzo alla banda urlante.

Un momento dopo una detonazione formidabile si propagava sotto la foresta e così forte che il treno intero fu scosso e spostato.

Walter ed il canadese si erano precipitati verso la finestra, mentre si udiva Dik che imprecava.

Del gruppo dei lupi raccoltisi per ritentare l’attacco non ne esisteva più uno.

Insomma, quanti lupi avranno fatto fuori, più di un centinaio? Ma erano così suicidi questi lupi? Vabbè, dopotutto i lupi sono l’equivalente dei velociraptor per la letteratura d’avventura dell’800.

Nel frattempo fanno fuori un wapiti (e cinque lupi bonus), però almeno se lo mangiano.

— Povere balene!… — esclamò lo studente. — E dopo hanno gli uomini che le perseguitano senza posa, e vero, Dik? — 

L’ex-baleniere invece di rispondere tese un braccio verso la costa di ponente, dicendo:

— Li vedete?

— Chi? — domandarono ad una voce il canadese e lo studente.

— Tutti quei punti neri che si dirigono verso la balena.

— È vero, — disse Gastone. — Che cosa possono essere?

— Potrei ingannarmi, tuttavia scommetterei il mio vecchio rampone contro una carica di tabacco che quelli sono kayak esquimesi.

Balene -1. Ma, come il narratore si premura di spiegare, gli esquimesi sono praticamente degli animali, quindi conta ancora come legge della natura.

La rotta era completa. I mangiatori di lardo ne avevano avuto abbastanza, poichè avevano lasciato sul terreno altri cinque uomini e tutti colpiti in pieno petto da quei terribili bersaglieri.

— Signor Gastone, — disse lo studente, il quale si affrettava a riempire il serbatoio del fucile. — Non vi pare che sia questo un brutto mestiere?

Noi massacriamo senza quasi correre alcun pericolo e ciò diventa noioso.

Ovviamente regalano delle armi da fuoco agli esquimesi, li mettono in stato di guerra e poi ne fanno fuori un po’.

CAPITOLO XV. L’attacco degli orsi bianchi.

[…]

— Erano molti? — chiese lo studente, per nulla impressionato.

— Io non ne ho veduto che uno, ma ve ne possono essere degli altri, avendo quegli animali l’abitudine di andare accompagnati e talvolta perfino a branchi.

— Vediamo, — disse il canadese, staccando un fucile dalla parete, subito imitato dallo studente.

[…]

— Il briccone si è nascosto sotto il carrozzone, — rispose il canadese. — Vi sono tre o quattro larghe buche scavate quasi dinanzi alla porta.

— Che in ognuna vi sia un orso?

— Lo sospetto, Walter.

[…]

— Si odono? — chiese il canadese, che si era armato della trivella.

— Sono qui sotto, signore. Russano come contrabbassi scordati.

— Dik, spengete la stufa e la lucerna ed anche la vostra pipa, e portate qui una latta di benzina. Le precauzioni non sono mai troppe con un liquido così infiammabile. —

Via cinque orsi! Però il cuore del canadese non è stato ancora abbastanza indurito dal freddo:

— Avete cinque delitti sulla coscienza, dei quali dovrete rendere conto al genio protettore benigno di tutti questi abitanti del gran nord.

[…]

— Io allora andrò a cercare un trattato dell’Ottimo cuoco che ho veduto nella piccola biblioteca, per prepararvi dei manicaretti…. conditi coll’olio di foca.

— Ah!… Birbante!…

CAPITOLO XVII. Una battaglia coi trichechi.

[…]

Oltrepassata la curva, uno spettacolo terribile si offerse dinanzi agli occhi dei tre esploratori.

Radunati all’estremità della galleria, la quale finiva sui banchi di ghiaccio della baia d’Hudson, si trovavano tre o quattrocento anfibi, di dimensioni enormi, poichè quasi tutti misuravano non meno di tre metri di lunghezza con una circonferenza di due.

Erano delle morse, chiamate anche trichechi, e dagli esquimesi awak.

[…]

L’allegro campione di Cambridge balzo giù dall’automobile e sparò sei colpi uno dietro l’altro, facendo stramazzare altrettanti giganti polari. Sparava con una sicurezza meravigliosa ed anche con una calma stupefacente, che strappava grida d’ammirazione al canadese. Perfino il baleniere pareva estremamente stupito.

Sei morse, colpite tutte alla testa, erano cadute l’una vicina all’altra, senza però far indietreggiare le altre, le quali anzi parevano decise a scagliarsi contro il treno e tentare di metterlo a pezzi.

— Mastro Dik, — disse lo studente. — Che vogliano, queste otri d’olio, provare su di noi la robustezza delle loro zanne?

— Continuate, — rispose l’ex-baleniere. — Poi lancerò il treno a tutta velocità e passeremo su quei mastodonti che creperanno appunto come otri.

[…]

L’automobile prese lo slancio e si scagliò innanzi colla violenza d’un ariete che sfonda la porta d’una fortezza, passando quasi di volo attraverso quell’ammasso mostruoso di corpi.

Fu una serie di salti spaventosi che mise a dura prova i muscoli dei tre esploratori, poichè l’automobile passava, insieme al pesante carrozzone, sopra i disgraziati anfibi, lasciandosi dietro un vero fiume di sangue e d’olio.

Lo slancio era stato così improvviso e così fulmineo, che i trichechi non avevano avuto il tempo di tentare nessun attacco, nemmeno contro le pneumatiche, che passavano sui loro corpacci aprendo dei solchi sanguinosi.

È la tipica strategia che i ragazzi delle medie usano su GTA.

CAPITOLO XIX. La carica dei buoi muschiati.

[…]

— Signor Gastone, — disse lo studente, il quale aveva già preso il suo mauser. — Lascieremo noi andarsene in pace quella splendida selvaggina che io non ho mai assaggiata, senza consumare una mezza dozzina di palle?

En passant fanno fuori un altro orso. Ma questa è solo l’introduzione di una esilarante coda che titola

CAPITOLO XXIII. L’ultimo mammouth?

[…]

— È strano!… — esclamò finalmente. — Si direbbero traccie di elefanti!… — 

Lo studente rispose con una sonora risata.

— Degli elefanti al Polo!… Ah!… Signor Gastone, che cosa dite voi mai?

— Vi stupite?

— Non siamo già all’equatore. Non sentite questo freddo cane?

— E allora?

— Vorreste proprio dire che queste traccie somigliano a quelle d’un pachiderma?

— Pachiderma: ben detto, mio caro Walter, perchè la bestia che è passata per di qua non può appartenere che a quella famiglia.

— Volete scherzare, signor Gastone.

— Niente affatto. Chi può assicurare che i giganteschi mammouth, quei fratelli degli elefanti, che un tempo popolavano queste regioni, siano veramente tutti scomparsi? Chi ha esplorate queste terre per affermare ciò?

— Infatti, signore, io ho letto in non so quale libro della biblioteca di Cambridge, che in tempi remoti i mammouth abitavano la Siberia e le grandi isole dell’oceano polare.

— Non tanto remoti quanto credete, amico, — rispose il canadese. — Nel 1900, se ben ricordo, giungeva all’Accademia di Pietroburgo la strabiliante notizia che un cosacco aveva scoperto sulle spiaggie dell’oceano polare, in un luogo assolutamente deserto, il cadavere di uno di quei colossali pachidermi in uno stato di conservazione splendido.

Aveva ancora intorno alle sue ossa la carne, e la pelle era ancora coperta di peli: non gli mancava che la proboscide.

— Nel 1900 avete detto?

— Sì, Walter. Ammetto che il ghiaccio abbia conservato a lungo la carne di quel colosso, ma ammetterete pure che non l’avrà conservata per secoli e secoli.

Ciò vuol dire che i mammouth se sono veramente tutti scomparsi, sono finiti molto recentemente.

Ed infatti Behring affermava di aver veduto sulle isole dello stretto degli animali giganteschi, i quali potevano benissimo essere dei pachidermi.

— E fu ricuperato quell’animalaccio?

— Il governo russo, appresa la notizia di quella scoperta, mandò subito in Siberia il conservatore delle collezioni zoologiche di Pietroburgo, ed il mammouth, che si era affondato in mezzo ai ghiacci, poco lontano dal villaggio di Sredne Kolynk, fu portato in Russia non senza grandi difficoltà, non esistendo allora nessuna linea ferroviaria fino agli Urali.

Oggi lo scheletro di quel bestione figura nel museo imperiale di Pietroburgo.

— Che non siano proprio tutti scomparsi?

— Chi lo sa?… Qualcuno può essere sopravvissuto.

— Corpo di Giove!… Una caccia all’elefante al Polo!… Chi ci crederebbe? Signor Gastone, seguiamo queste tracce.

— Certo, Walter.

— Ho udito narrare che la tromba degli elefanti è un vero manicaretto.

— Così si afferma.

— Corpo di tutti i fulmini di Giove!… Se potessi assaggiarla anch’io!…

— Guadagnatevela, signor ghiottone.

— È quello che tenterò di fare.

— Allora in marcia dietro le orme. —

Ma Cristooo trovano un mammut e la prima cosa che pensano è mangiarlo? Ma Salgari era serio o stava prendendo in giro i Canadesi? Non potrò chiederglielo. Se l’è portato nella tomba insieme a 100 lupi.

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