Una volta il sottoscritto Topino 106 era un essere umano proprio come il lettore. (No, non tu, Googlebot.) Aveva un nome e un cognome. Poi un giorno decise di entrare nella società dei topini.
La società dei topini offre molti vantaggi; ma come spesso accade, per intraprendere un cambiamento radicale non è sufficiente cogliere in astratto la razionalità di una scelta: serve un’esogena botta nel culo.
Nel mio caso è stato offendere un professore con quello che scrivo qui. Mi sarebbe stato difficile prevederlo, perché non l’avevo menzionato se non anonimamente e brevemente, per raccontare un aneddoto la cui ilarità era dovuta a una mia eclatante figura da somaro mentre mi interrogava.
Al tempo mi ero sforzato di ricostruire il processo mentale con il quale era arrivato a prendersela, e mi sembrava di averlo compreso bene; d’altro canto troppe volte quando metto in pratica una rinnovata confidenza nell’analisi degli algoritmi sociali vado a finire come l’elefante nel negozio di cristalli.
Oggi ho avuto ulteriore conferma della saggezza di diventare Topino 106 e dimenticare il mio nome da umano: ho segnato un nuovo record personale sul tempo necessario per offendere un professore senza accorgermene.
Non essendo una situazione nuova, mi aspetto già di ricevere certi vari consigli. Il problema è che i consigli, anche se non vengono proprio espressi così, si tradurrebbero, a valle di vari vincoli lasciati impliciti, nelle procedure che alcuni miei colleghi studenti seguono:
Obbedisci al prof.
Quando c’è il prof, fai finta che il prof abbia sempre ragione e sia super bravo. Importante: fai finta anche quando è vero.
Quando non c’è il prof, esegui riti vudù trafiggendo il suo pupazzetto con un Arbre Magique natalizio.
Se rimani immobile, i prof non ti possono vedere.
Dai sempre risposte vaghe.
Parla con una vocina bassa da cucciolo impaurito.
L’alternativa è essere bravo nelle relazioni sociali e dare la risposta giusta al momento giusto alla persona giusta che ti fa ottenere quello che vuoi senza essere un tappeto. Come quando Lamport diceva che il modo di non sbagliare in LaTeX è non fare errori. Grazie, Lamport. Io non sono capace né di sofisticatezza sociale, né di scrivere LaTeX che compila al primo colpo.
E aggiungo che, dal punto di vista di chi non implementa in hardware certe varie euristiche umane di base, i consigli per essere socialmente compatibili hanno questo aspetto: “Manipola le altre persone con questi trucchi”.
Ad esempio, in certi momenti bisogna ricordarsi di dire “grazie”, “egregio”, “buonasera”, etc. E farlo o non farlo ripetutamente, o anche solo scegliere la parola sbagliata da un lungo menù, ha effetti che si accumulano.
(Sì, lo so, come faccio a saperlo, quando dico di non capire queste cose? Risposta: se 1) osservo una singola cosa specifica a lungo, 2) ci ragiono a mentre fredda con calma, 3) mi limito ad analizzare solo alcune proprietà generali, senza ambire a una comprensione operativa, allora ci sono dei modi indiretti; ad esempio notare altre persone che smettono visibilmente di farlo quando non sono costrette.)
Queste regole non hanno rilevanza estrinseca. Non servono ad altro se non a loro stesse. Eppure non seguirle fa perdere punti sociali, che sono cumulabili in un unico punteggio, perché Von Neumann aveva ragione.
Quindi, se mi metto a usarle, quello che sto facendo è usare coscientemente un hack negli altri umani per aumentare il mio punteggio sociale senza fare niente di utile.
A dire il vero questo ragionamento che ho appena fatto è bacato, perché se alle persone piace fare giochi in cui devono capire la parola da dire, allora a loro è utile per definizione perché gli piace, allo stesso modo in cui a me piace, che so, ricevere bacini. Scusate: avevo bisogno di sfogarmi perché sono giù di morale; quest’ultimo fallimento sociale è stato repentino e inatteso, non ero pronto. Non è come quando chiedi a una ragazza di uscire e ti dice no, che un po’ te lo aspetti.
Per concludere, torno alla domanda iniziale: come fare a non offendere i professori? Boh, e che ne so? ‘ntartide?
P.S. Mi hanno spiegato quale frase che ho detto non andava bene. Dopo aver espresso l’intenzione di tartassare il prof per farmi spiegare un cosa che pensava che io non avessi capito, per scherzare gli ho detto “Non puoi nasconderti. Non puoi scappare”. Solo che la citazione è sbagliata: quella corretta è “Puoi scappare, ma non puoi nasconderti”. Mi sa che il mio patetico tentativo di fingere di conoscere la cultura pop della sua generazione l’ha disgusticato.